Image for Abbiamo l'acqua (non ufficialmente)

Mentre eravamo lì che chiacchieravamo e ci godevamo i nostri wurstel alla brace, il mio sguardo vagò sul prato di fronte. Proprio davanti a noi, un gruppo di cardi mi rovinava la vista.

Ah, i cardi! Maledetti invasori spinosi, sembrano spuntare ovunque. La battaglia per debellarli andrà avanti per lungo tempo.

E così, come in trance, mi alzai dalla mia sedia, determinato a ripristinare la bellezza del nostro panorama. "Scusate, ma devo fare una cosa," dissi, afferrando la pala.

"Dove stai andando?" Chiese Lucia, ma la domanda di perse nel vento.

Mi avvicinai ai cardi, pronto per il corpo a corpo. Queste non erano mica piantine basse; erano delle bestie di un metro e ottanta, giganti spinosi che sembravano sfidarmi con la loro altezza, la loro resistenza e delle spine che avrebbero potuto incrociare con la spada Excalibur di re Artù.

Il primo cardo cadde con un colpo deciso. "Uno a zero per me," mormorai, sentendomi un po' come un gladiatore nell'arena. Ma i cardi non si arresero facilmente. Ogni pianta era un avversario ostinato, che richiedeva forza, astuzia e determinazione per essere abbattuta e lottava trapassando con le sue armi aguzze anche i più resistenti dei guanti da lavoro.

Il sudore mi colava sulla fronte, le mani dolevano per le punture, ma non mi fermai. Ogni colpo era una piccola vittoria, ogni cardo abbattuto un passo verso la libertà visiva. "Ma i cardi non erano mica piantine basse?" mi chiesi, mentre affrontavo l'ennesimo gigante spinoso. "Queste sono dei grizzly!"

Finalmente, dopo una serie di scontri epici, l'ultimo cardo del gruppo cadde. Mi raddrizzai, respirando a pieni polmoni, e guardai il campo di battaglia. I cardi giacevano a terra, sconfitti, e la vista era finalmente libera.

"Tutto a posto?" chiese Lucia, alzando un sopracciglio.

"Sì, missione compiuta," risposi, tornando al barbecue con un sorriso trionfante. "La vista è salva."

Ce ne sono ancora altri nel prato, ma come ha detto una volta Gabriele, è una guerra che combatto "un cardo alla volta."

La giornata proseguì con un'energia rinnovata. Dopo pranzo, decidemmo di affrontare un'altra delle nostre missioni: aprire il rubinetto generale dell'acqua del piano superiore. Con un misto di trepidazione e speranza, girammo la valvola che oppose un'ultima strenua resistenza e infine di arrese. L'acqua iniziò a scorrere nei tubi. Era come se avessimo scoperto una sorgente nascosta, un piccolo miracolo domestico. Ma c'era ancora un problema: ancora non avevamo i tappi giusti per le mandate.

Chiesi a Lucia e Luisa di andare a comprare i tappi da 1/2 pollice.

Mentre loro si dirigevano verso il negozio, io e Gabriele ci dedicammo a un'altra battaglia: quella contro gli alberi di ailanto davanti casa, sulla strada. Uno di questi aveva superato in altezza la casa.

Gli alberi di ailanto, conosciuti anche come "alberi del paradiso", si ergono come avversari formidabili nella nostra battaglia per rendere abitabile la nostra proprietà.

Le loro radici si insinuano nel terreno con una determinazione implacabile, come guerrieri silenziosi. La loro sola presenza soffoca le piante autoctone. Ogni tentativo di estirparli sembra solo rafforzare la loro risolutezza, poiché anche il più piccolo frammento di radice lasciato nel terreno può dare vita a nuovi germogli, pronti a riprendere la loro avanzata.

Le foglie dell'ailanto, pur con il loro aspetto esotico, emanano un odore pungente e sgradevole, quasi come un avvertimento per chiunque osi avvicinarsi troppo.

In questa guerra silenziosa, gli ailanti si comportano come invasori strategici, colonizzando rapidamente ogni angolo di terreno disponibile. I semi, trasportati dal vento, si diffondono come pedine di un esercito, pronti a stabilire nuove roccaforti ovunque trovino un terreno fertile.

"Pronto a fare il boscaiolo?" chiesi a Gabriele, brandendo la motosega con un sogghigno.

"Prontissimo," rispose, afferrando la carriola. "Vediamo di abbattere questi spilungoni."

Come provetti boscaioli, iniziammo a tagliare il tronco con un'incisione triangolare. Il suono della sega che affondava nel legno era quasi ipnotico, il rumore della nostra determinazione. Con un ultimo colpo deciso, l'albero cadde, schiantandosi a terra con un tonfo che risuonò nella piccola stradina, mentre qualcuno chiudeva la finestra di una casa vicina.

"Uno a zero per noi," dissi, guardando il tronco abbattuto.

"Adesso tocca all'altro," rispose Gabriele, dirigendosi verso l'albero più basso e più piccolo.

Evidentemente impaurito dalla sconfitta del suo vicino, questo cadde senza troppa resistenza, e ci sentimmo come eroi di una saga epica, conquistatori di un nuovo territorio. Portammo lo sfalcio dei rami al cassonetto lungo la strada con la carriola, ma tenemmo i tronchi e i rami più grandi come legna da ardere, pare che il legno di ailanto bruci bene. "Questi ci torneranno utili," dissi, mentre portavamo i tronchi nell'aia.

Quando Lucia e Luisa tornarono con i tappi li avvitammo subito nei buchi nei muri, piccole gallerie oscure, e riaprimmo il generale. L'acqua arrivò, riempiendo la cassetta dello sciacquone.

Il suono dello sciacquone che si riempiva era musica per le nostre orecchie.

"È un momento storico," commentai, tirando l'acqua per la prima volta.

"In cucina c'è un rubinettino da cui si può prendere acqua," disse Gabriele, aprendo il piccolo rubinetto e osservando l'acqua limpida che scorreva.

"Abbiamo l'acqua!," urlai dalla finestra per informare Lucia di questa piccola, nuova vittoria.

La giornata volgeva al termine, e dopo tutte le emozioni e le battaglie epiche, decidemmo di concludere con qualcosa di più facile. Qualcosa che non richiedesse troppa energia, ma che ci desse comunque la soddisfazione di un lavoro ben fatto.

Gabriele ed io ci dedicammo alla porta d'ingresso, che sembrava avere una volontà propria e non voleva saperne di muoversi.

"Vediamo di risolvere questo problema"

Smontammo l'anta della porta con cura, cercando di non danneggiare ulteriormente la cornice di legno che mostrava i segni del tempo. Mettemmo un piccolo spessore nei cardini, sperando che questo potesse fare la differenza. E, come per magia, la porta si poteva quantomeno accostare. Non proprio chiudere, ma almeno accostare.

"È un inizio," dissi con un sorriso soddisfatto.

"Un piccolo passo per l'uomo, un grande passo per la porta," scherzò Gabriele.

In giardino, decisi di rimuovere le lastre di ondulina che coprivano la porta del laboratorio. Con un po' di fatica e qualche colpo di tenaglia rimossi i piedi di ferro che le teneva in posizione e alla fine le lastre vennero via, rivelando una bella porta di ferro.

"Guarda qui," dissi a Lucia ammirando la scoperta.

"Sistemando questa porta, potrebbe diventare davvero bella. Un altro piccolo tesoro nascosto," commentò Lucia, osservando la porta con interesse.

Infine, ci dedicammo ai tronchi degli ailanti. Li tagliammo con cura e li accatastammo dietro alla stalla, pronti per essere utilizzati come legna da ardere.

Con il lavoro finalmente concluso, ci godemmo la tranquillità del paesaggio. Il sole lentamente si avvicinava all'orizzonte, tingendo il cielo di sfumature dorate e arancioni. Le colline si stagliavano all'orizzonte, creando un quadro perfetto di pace e serenità.

"Non c'è niente di meglio," dissi, respirando a pieni polmoni l'aria fresca della sera.