Image for Un bagno pulito

Il sole iniziava a scaldare. Sebbene sia un'estate strana in cui piove molto, quando il sole splende il caldo si fa sentire. La cosa buona è che a Ganaghello non c'è l'afa di Milano.

Stavo accingendomi ad affrontare per la terza volta la salita che da casa porta al piccolo container per la raccolta degli sfalci che si trova poco prima della chiesa. Facevo volentieri quella fatica perché mi permetteva di scoprire il mondo esterno, al di fuori dei confini di casa nostra. Oltre a vedere il paesaggio da un punto di vista diverso, capita di incontrare qualche abitante locale con cui ho la possibilità di scambiare un "buon giorno". Non è certo quella che potremmo definire “vita sociale”, ma è comunque una relazione che mi dà piacere.

Stavo appunto affrontando la breve salita per la terza volta, quando gli schiamazzi di alcuni ragazzini mi fecero voltare. Un piccolo gregge di cinque o sei bimbetti stava affrontando la curva davanti a casa in bicicletta.

“Arrivo prima io!” disse quello più grandicello.

“Aspettami” gridò una bimbetta che avrà avuto sì e no sei anni.

Li salutai mentre mi superavano e loro ricambiarono con un sorriso.

Quando l'orda fu passata, arrivarono le madri, con l'espressione del pastore a cui è scappato il gregge ma che sa che lo intercetterà al primo prato dove si fermerà a brucare. Erano intente a chiacchierare tra di loro spingendo le biciclette a mano.

“Buon giorno” salutai, “mi sa che avete perso qualcosa”

“Buon giorno” ricambiarono il saluto ridendo “ma non andranno lontano” e anche loro mi superarono.

Arrivai a destinazione, scaricai il contenuto della carriola e tornai sui miei passi. Non ero ancora a metà strada che una delle due donne mi passò affianco in sala alla bici seguita da un paio di bimbetti.

“Recuperati!” mi disse con tono esultante superandomi e facendo un cenno di saluto con la mano.

Mentre mi avvicinavo al cancello per fare il nuovo carico di rami di fico vidi al di là, sotto il portico della stalla una figura che non misi immediatamente a fuoco: era Rossella che portava fuori di casa le sedie e il tavolo. Sentii anche una voce provenire dall'alto. Riconobbi Luisa che parlava con Lucia. E nel mentre vidi Gabriele uscire di casa con l'asse del wc in mano per depositarla dietro alla stalla stiamo mettendo tutto ciò che deve andare in discarica. Erano arrivati da poco e si erano già messi all'opera.

“Lucia mi ha chiesto di togliere l'asse del water” mi disse iniziando a raccogliere rami.

“Grazie, me lo hai evitato. Lucia me lo aveva chiesto, ma se smetto di fare qui, oggi non ricomincio più"

Eravamo arrivati presto la mattina ed era stato un momento catartico quando abbiamo aperto il rubinetto generale dell'acqua. Era stato come dire “adesso la casa è usabile”, forse non ancora abitabile, ma si può pensare di iniziare a frequentarla. Ed infatti Lucia si era messa subito a pulire la casa, cominciando dal bagno.

Già il bagno. Meriterebbe più attenzione il bagno. Se ne parla raramente preferiamo prestare più attenzione a stanze più "nobili" come il soggiorno, da pranzo o le camera da letto. Se ci fate attenzione raramente si parla del bagno nei libri. Eppure non consideriamo una casa vivibile se non ha un bagno. E il bagno non esiste se non c'è l'acqua.

In questi nostro viaggio stiamo riconsiderando le cose che, nel nostro vivere civile, consideriamo primitive, un assiomi che non necessitano di dimostrazione, che esistono e basta.

Verranno la camera da letto, il soggiorno e la cucina, ma ora dobbiamo far esistere gli assiomi.

Ma io sto divagando.

Ad un certo punto della mattinata Lucia mi aveva urlato dal bagno se potevo togliere la tavoletta dal wc, vecchia e da buttare, per pulire il vaso. Io avevo fatto orecchie da mercante volendo finire ciò su cui ero concentrato prima che le energie potessero abbandonarmi.

Sotto al fico sembrava di stare in una foresta. I rami, che arrivano quasi sopra al tetto della casa, formavano un soffitto lasciando filtrare solo luce verde. Il pavimento invece era costruito da rami marcescenti, ammucchiati dai contadini che per andare nei campi passavano nella strada che costeggia la proprietà, a cui evidentemente davano fastidio, dai rami che stavamo tagliando e dai germogli del fico che, non arrendendosi mai, ricaccia germogli da qualsiasi pezzo tocchi terra.

Rimettere in funzione il primitivo cancello di ingresso all'aia era dunque una battaglia su più fronti: vi erano i rami che si erano intrecciati tra le maglie arrugginite, quelli che vi si poggiavano sopra e quelli a terra.

Era costituito da una semplice rete metallica saldata su una cornice di metallo, incardinata a una putrella di acciaio verticale con del filo di ferro. Esso rappresenta l'accesso carrabile vero e proprio alla casa, per ora stiamo facendo il giro sul retro usando la strada sterrata nei campi, ma rendere usabile questo passaggio, per quanto non essenziale, sarebbe un altro passo per chiamare la casa “casa”.

Gabriele si unì a me nel tagliare e raccogliere i rami. L'unico vero vantaggio in questi lavori era costituito dal fatto che almeno si lavorava all'ombra e in una relativa frescura, ma una volta che la carriola era piena bisognava portarla al container in fondo strada. La campana chiesa aveva da poco suonato mezzogiorno. Appena uscito relativa protezione dell'ombra del fico mi resi conto che quello sarebbe stato il mio ultimo viaggio per il momento. Il sole a picco non dava tregua e nel percorrere la strada dritta, in salita, cercavo ogni ombra possibile, come quando da bambini si giocava a fingere di essere sui pietroni tra fiumi di lava. Il sudore tuttavia colava abbondante dalle fronte costringendomi a indesiderate soste quando ero nelle zone della “lava”.

Giunto al container si sentiva l'odore della vegetazione che iniziava a fermentare. Svuotai velocemente la carriola e nell'allontanarmi mi augurai che quell'odore non arrivare alle case sull'altro lato strada.

Quando tornai Gabriele ancora raccogliendo i rami. Feci per rimettermi all'opera anche io, ma l'ultimo viaggio mi aveva completamente asciugato.

“Gabry, io sono distrutto” mi giustificai “abbandono il campo”

“Vai, finisco qui e poi ti raggiungo”

Mi sentivo in colpa a lasciarlo lavorare da solo. Poco dopo lo vidi partire con il nuovo carico. Ma quando tornò anche lui, nonostante la sua inossidabilità, era provato da quelle spedizione.

Prima di chiudere il resoconto mattinata devo fare un'altra digressione riguardo alla questione bagno. Non vorrei apparire troppo insistente sulla questione e d'altra parte il fatto che né in letteratura né nel cinema se ne parli più di tanto dovrebbe convincermi a cambiare argomento. Tuttavia mi urge qui, come ho già detto, sottolineare l'importanza di un luogo bistrattato, ma anche evidenziare l'ottimo lavoro compiuto da Lucia che con impegno aveva rimesso a nuovo un locale che da anni non vedeva tanto splendore.

La prima volta che vi entrai era una sorta di cimitero di vespe. I loro corpi erano disseminati dappertutto con ragnatele e i resti di altri insetti sparsi qui e là. Ricordo che la mia prima sensazione fu quella di un campo di battaglia dove sembrava essere avvenuto uno scontro degno de “Il Signore degli Anelli”.

Ora invece era un luogo immacolato. E quando finì di fare i miei bisogni e tirai la cordicella dello sciacquone avevo quasi le lacrime agli occhi.